La mia Pittura

Parlare della Pittura è qualcosa a cui ho preso gusto nel corso degli anni, le parole si sono andate formando nella pratica quotidiana. Adesso mi pare urgente un confronto, una discussione, per centrare le questioni specifiche che apre questa disciplina, ultimamente abbandonata anche nelle scuole una volta deputate, per non dimenticarla del tutto. 

Ciò di cui intendo parlare in primo luogo è proprio l’atto del dipingere in sé e la sua particolarità rispetto alle altre arti.



“Interpretare e’ in realtà ricostruire. Di mano in mano che si considerano forme più elevate dell’attenzione, la parte dell’invenzione diviene sempre più grande”. Henri Bergson 


Interpretare equivale a ri-costruire: vorrei incominciare da questo assunto, di un filosofo che fu di ispirazione ai pittori del novecento, che tanto contribuirono a chiarire l’idea della pittura. Elevare l’attenzione a gradi di osservazione del “vero” sempre più lucida e cosciente, non può che aumentare la capacità di invenzione.

I pittori più grandi hanno usato i loro soggetti, concreti o letterari che fossero, per parlare d’altro, trascendendo l’apparenza e in questo modo hanno di volta in volta cambiato la storia: così la pittura ha generato cultura nel corso dei secoli.

Fin dal principio i miei studi sono stati orientati al realismo, per diverse ragioni. Innanzitutto l’influenza del mio maestro, Ziveri, anche grazie a lui ho subito compreso il realismo nel suo significato originario, come l’unica possibilità per uscire dal l'anacronismo della pittura letteraria e dalla gratuità casuale della fantasia. Il realismo, ancorato com’è saldamente alla realtà attuale, libero dalle mode, per quanto si possa essere affermato in quel periodo storico che fu la fine dell’Ottocento, rimane comunque una scelta sempre valida.


Occorre mediare la perfezione ideale dell’arte con la spontaneità della sensazione, lavorare sull’immediatezza dell’esperienza dei sensi ma costruendo qualcosa di solido e duraturo come l’arte dei musei”. 

Cézanne


Nel mio sforzo di osservare il mondo reale ho adottato il metodo analitico. Questo ha conferito alla pittura una funzione esplorativa, come fosse una scienza. Nell’ analisi dell’oggetto l'astrazione è il principio trainante, attraverso il quale la realtà viene ricostruita, la forma irrompe eccitata plasticamente. 

Il metodo analitico mi si offre come efficace cifra del vero, rendendo difficile la deviazione verso più superficiali armonie decorative, perché l’oggetto della pittura rimane la realtà, e specificamente il rapporto degli oggetti tra loro nella luce. Analisi quindi come annotazione fedele delle proporzioni geometriche dell’oggetto e specialmente dal suo rapporto con gli altri oggetti: è da tutto questo che scaturisce per me la sensazione di armonia.


Analizzo le cose materiali e le esprimo per mezzo di segni, prendendo dal soggetto, sia esso dal vero o fotografico, solo ciò che serve a rafforzare la mia sensazione di realtà. A furia di osservare, nel progredire della mia coscienza del soggetto, le cose materiali superano la loro apparenza e si elevano in una dimensione astratta, acquistando sostanza. I segni diventano sempre più semplici e su  questa scala di semplificazione si muove per me la ricerca della bellezza. 

Nell’osservazione della natura, nel paesaggio all’aria aperta, trovo facilmente questa semplificazione degli elementi visivi, che si manifesta nella definizione di zone precise, macchie di materia colorata dalla luce. Lontana anni luce dalle visioni suggestive, “pittoresche”, l’insieme assume piuttosto la vitalità potente della luce, le freddezze intellettuali svaniscono.

La sintesi che ne deriva appiattisce la profondità illusionistica cara alla prospettiva scolastica, in modo che vengano in evidenza i veri valori pittorici, e la ricostruzione  dell’immagine avviene proprio a partire dal suo peculiare tono cromatico e luminoso. 

La sintesi mi si offre come soluzione della verosimiglianza, mi spinge fino a considerare l’opera pittorica in se stessa, costruisce il dipinto come un reticolo in cui vengono individuate le varie zone di tono-colore. La visione si scompone e subito si ricompone tramite il lavoro del pennello. Un paesaggio da “luogo” diventa semplicemente un modo di vedere, prospettiva, teorie estetiche, equilibrismi tecnici, non servono più, sono piuttosto di inciampo: basta osservare, impregnarsi della sensazione forte della natura e della realtà e ragionare pittoricamente su questo, finché tutto assurga a un’armonia parallela a quella osservata. La costruzione geometrica, le pennellate brevi e precise, i rapporti sottili dei toni, non esprimono solo il filtro razionale della sensazione, ma vivono di riflesso l’estasi della natura, che viene ricreata dalla pittura. 


Evoluzione decisiva del mio studio nella natura nella luce è stato l’apparire, entro le linee della composizione, della figura umana.

Il tema dei Bagnanti mi ha offerto l’occasione, circa 20 anni fa, di tornare a dipingere la figura, dopo molti anni di vedute romane. Da allora la mia pittura si evolve visibilmente su questo soggetto. I protagonisti dei miei quadri non sono modelli in posa, ma persone colte segretamente nei loro movimenti spontanei, tramite scatti fotografici, sulle spiagge estive. La semplificazione dello spazio vuole mettere in evidenza il corpo con la profonda espressività di quando sulla spiaggia, in una condizione di rara libertà,  può esprimersi in pieno, senza vestiti. La mia lunga esperienza di studio dal vero, tuttora praticata, ha costruito nel corso del tempo un dizionario che supplisce alle scarse informazioni della fotografia. E' un modo per avere conferma delle mie sensazioni che, in sinergia con l’amore per la storia, da vita spontaneamente a un repertorio di pose nel quale il naturale si fonde col classico. Il mio non è un copiare le foto ma un’operazione che prevede immaginazione e cultura. Nella disposizione delle figure all’interno della composizione, nell’analisi delle pause create dai vuoti, nelle semplificazioni e a volte nelle brevi deformazioni anatomiche, c’è una citazione dei grandi pittori del passato, inconsapevole o no: Tiziano, Delacroix, Courbet, Manet e Cézanne. 

L’oggetto della mia indagine è la capacità trasformativa che possiede il movimento colto al volo dalla luce, capacità di espressione personale e originale che nasce e indaga il proprio interno, che introduce un’armonia etica piuttosto che estetica. In questo contesto le posizioni delle figure sono il risultato di una fenomenologia dello spirito, nella quale non sono tanto le persone a interpretare e mettere in forma l’emozione, ma l’emozione stessa, che le precede e supera, a informare di sé le persone.


Per me dipingere, e soprattutto dipingere figure, e’ un rito epifanico, un disvelamento, un’atavica e a volte rabbiosa ricerca del nucleo essenziale, che è la vita vera della persona. Il movimento spontaneo del corpo contiene sorprendenti possibilità drammaturgiche, da vita a figure-sentimento, la cui espressione si va realizzando grazie a una forza distruttiva e allo stesso tempo rigenerativa, una forza che ricorda lo stesso processo del dipingere. Dipingere la figura lontana dall’estetica artefatta dell’ accademia, dalla leziosità della posa ottocentesca o da certo tecnicismo esasperato contemporaneo, lontana dalla distrazione dei dettagli e dal orpello prospettico, serve per consegnare al corpo la sua unità psicologica di persona, una condizione di autenticità ideale. La figura intesa quindi in un modo particolare, analizzata all’interno del suo movimento introflesso, spontaneo ma anche intellettuale. Una figura che espone chiaramente il sentimento soggettivo della persona e, proprio perché indagata dal suo interno, offre la traccia di un pensiero emotivamente condivisibile.

Le figure si muovono all’interno dello spazio come in una danza, partecipano di un’idea, di emozioni, di frasi corporee che intendono evocare la vita stessa, tramite geometrie spezzate, frammentazioni inattese, crolli scomposti, coazioni a ripetere, salti, lanci, cadute drastiche. In fin dei conti rimandano allo stesso atto del dipingere.


Ciò che mi sta a cuore, in ultima analisi, è la ricerca di una unità della visione, oggettiva e soggettiva.

Lo spazio diventa in questa visione un elemento altrettanto pieno e solido, in cui la forma si inserisce tale e quale. 

Scandagliando lo spazio in ogni direzione le forme risultano scandite in una struttura che possiede un suo ritmo vitale e non decorativo, descritto da una luce né propriamente ottica né fantastica. Lo spazio, come le figure, viene anch’esso liberato dalle strettoie dell’apparenza. Alla rappresentazione delle apparenze viene sostituita l’espressione di ciò che io sola vedo, che è il suo contenuto essenziale; alla finzione della prospettiva tradizionale l’individuazione dell’oggetto tramite pieni e vuoti, la sua scomposizione geometrica. In questa visione la luminosità del colore è interna e raggiunge infinite tonalità, che si spiegano come un largo canto. Così gli oggetti dei più comuni repertori, compresi i corpi, si trasformano in realtà ritmiche, intraprendono una metamorfosi della realtà attraverso la liberazione da ogni esteriore mimetismo, diventando profondamente allusive. 


Insomma intendo la pittura come poesia, come musica, per cantare l’essenza e non l’apparenza del visibile, che investighi la realtà superando l’aneddoto, che abbia come protagonista un'umanità fatta di elementi contrastanti, in cui convivono solennità e fragilità. La pittura come raffigurazione di una forma esteriore particolare, vibrante, che la sollevi, a partire da un sentimento attuale, verso la sua essenza connaturata e eterna.

L.G.