Testi critici IT
2024
Giovanni Lauricella
Guardando i quadri di Laura Grosso si notano dei giovani personaggi su un prato, fra alberi e cespugli. Sono rappresentazioni di puro valore estetico, di individui che per ipotesi potrebbero essere simili a quelli che si trovano nelle poesie di Aritmie del pensiero, ovvero quegli umani troppo umani che divergono dall'ordinaria quotidianità votata al rendimento e all'efficienza, esseri difformi dal resto del mondo perché incompatibili con tecnologie, social e Intelligenza Artificiale.
Così, quello che ancora c'è d' incontaminato nel mondo si trasforma in un Eden, vicino all'occhio di chi guarda ma lontano dalla routine quotidiana che si ha intorno. Un mondo a parte, offerto da quella superficie pittorica dipinta a olio con grosse campiture, che è la cifra artistica di Laura Grosso.
2023
Giovanni Lauricella
All’Hotel Aleph di Roma, in via di San Basilio, nella Hall, nella parte alta dell’ampio e sontuoso salone, sono collocati sei grandi quadri di Laura Grosso, costitutivi di una mostra a cura di Gabriella Perna.
Avevo già visto altre mostre all’ Aleph, ma questa volta mi ha sorpreso che i quadri leghino con tanta armonia all’ambiente, che potrebbero rimanervi come opere fisse sia esteticamente sia come contenuti in quanto la serie ha come sfondo alcune ville romane e inneggia all’amore, da cui il titolo “Tracce d’amore”. Quale miglior auspicio per una coppia che prende una stanza in quell’Hotel?
Infatti il tema è unico, un ciclo di rappresentazioni di sei opere dedicate all’amore: vastissimo tema in questo caso incentrato nel modello della “Coppia originaria”.
A dispetto dell’ottimo comunicato stampa e dell’altrettanto colto testo critico di Adriana De Angelis, che meriterebbe un apposito scritto solo per essere citato, esaurisco qui la parte dedicata agli spunti e riferimenti dei quadri; quindi trascurerò gli sfondi scenici di Villa Adriana, Parco delle Valli, Villa Nemorense, Villa Ada e Villa Borghese, non parlerò dei giardini di Rubens, del Ciclo della Vita di Munch, di “Essere due” di Luce Irigaray, e mi dedicherò a quello che è l’aspetto pittorico del ciclo.
Laura Grosso dipinge figure ad animose campiture sottolineate da pennellate che danno vitalità ed espressione ai soggetti, rappresentati con una maestria tendente alla sintesi e alla resa ideale di quello che vuole affermare. La tavolozza dei suoi colori anela le tinte chiare, solari ma non troppo, non è molto varia, ma sufficiente per dare spettacolo cromatico, che abilmente investe nei personaggi rendendoli attraenti tanto da dedicargli attenzione, in una composizione di discreto effetto scenico.
Nei suoi quadri c’è l’intenzione esplicita di chiamare lo spettatore a far parte di quello che rappresenta, uno spirito di partecipazione a “una sorta di cornice in parole” che sono i suoi desideri, “l’Eden” nel quale ti vuole accompagnare delicatamente, quasi per mano. Una persuasione al bene o a quello che dovrebbe essere idealmente lo spirito umano, l’amore, la voglia d’amare.
Il verde preminente offre una tranquilla serenità, sono quadri che si dovrebbero guardare già rilassati per meditare le movenze naturali dei soggetti. I passaggi di colore non sono bruschi anche se la plasticità dei soggetti è evidente. Ognuno dei quadri è un’ambientazione, aneddoti di vita che permettono di essere attraversati dalla fantasia dello spettatore, c’è un’armonia sottintesa che deve essere indagata, come a far decantare un pensiero che emerge in un secondo momento.
Come tutti sanno, l’artista vivente più quotato al mondo è David Hockney, che dipinge quadri figurativi, ovvero fa un genere che il movimento d’avanguardia voleva scalzare e che invece è diventato la tendenza vincente. In sintesi, ancora oggi è l’immagine umana a comunicare il contenuto dell’opera, come confermato dalla street art di Banksy e dal suo grande successo popolare. Con mia sorpresa, già da prima del covid, avevo appreso che in Inghilterra molti giovani pittori sono figurativi: un fenomeno che da quelle parti ha fatto ridimensionare molto l’arte astratta, concettuale, installazioni, land art, ecc.
Ad eccezione del primo quadro, che è stato ultimato dall’Artista alla fine del 2022, tutte le altre opere sono state dipinte nel 2023, in contemporanea.
Estratto dalla rivista Slasharts
2023
Adriana De Angelis
Amore: dall’ "Omnia vincit amor” all’ “Amor che move il sole e l’altre stelle” di Dante nonché a “L’unica cosa importante quando ce ne andremo, saranno le tracce d'amore che avremo lasciato” di Albert Schweitzer, l’Amore, sin dall’inizio del mondo e nella sua più ampia accezione, ha attraversato i secoli e continuerà ad attraversarli fino alla fine del tempo. Intorno a quel perno imprescindibile che è l’Amore, gli esseri umani, e gli artisti in particolare, costruiscono, a volte senza nemmeno rendersene conto, le loro vite e le loro opere. Amore, croce e delizia dell’essere umano.
Parlando di amore, il pensiero non può che andare alla coppia, all’uomo e alla donna e al loro rapporto che già nella Bibbia occupa un posto centrale nel racconto delle origini. Il giardino dell’Eden e la creazione tutta, infatti, altro non sono che la cornice dell’incontro tra il maschile e il femminile.
Il poetico Marc Chagall, in tarda età, realizzò, a Nizza, un museo da lui interamente progettato, concepito come un itinerario tra le scene della Bibbia. Al centro e al culmine di questo percorso pose una stanzetta circolare. Il visitatore che vi entra rimane come stordito davanti ai quattro piccoli quadri, di colore rosso e arancione, lì esposti che mostrano un Adamo incoronato che fugge a cavallo con la sua sposa, Eva, sui tetti di Parigi, in un orizzonte di poesia e di sogno nel quale si trovano i simboli del Cantico dei Cantici, uno dei poemi d’amore tra i più belli al mondo. Ma è quanto scritto, a mano, sul muro, che dà il significato al tutto: “A Vava, la mia donna, la mia vita, la mia allegria”, una dedica del pittore alla moglie che indica che il centro della vita, della creazione stessa, sta proprio nell’incontro tra un uomo e una donna.
Anni prima di Chagall, anche Edvard Munch si era occupato del rapporto uomo/donna in un ciclo di pitture che esprimeva la sua visione amara e dolorosa della vita, fatta di nevrosi, solitudine, alti e bassi che non gli permisero di raggiungere quella stabilità mentale ed emotiva che la sua condizione economica e sociale gli avrebbe permesso e che turbarono in modo inequivocabile il suo rapporto con la donna. La danza della vita, insieme all’Urlo, è una delle più significative pitture di questo ciclo. In essa si ritrova la metafora medievale dell’esistenza come danza quale rappresentazione sia della dimensione universale della vita e dei rapporti sia della coscienza del ciclo biologico dell’essere umano, imprescindibilmente e perennemente immerso nel paesaggio a dimostrazione che il destino dei viventi è direttamente legato al ritmo superiore della Natura, scandito da nascita, vita, morte. I colori bianco, rosso e nero degli abiti indossati dalla donna rappresentata sono interpretazione di questa innegabile realtà. La gioiosa danza iniziale svela, infatti, per Munch, un retroscena macabro: la donna che, vestita di bianco, è sognata e idealizzata e, vestita di rosso, è desiderata si trasforma, poi, in un Vampiro vestito di nero che, baciando, toglie la vita. Siamo alla visione della donna come femme fatale, tipica dei primi anni del ‘900 e fatta propria anche da Klimt nella sua Giuditta che ben interpreta un argomento molto dibattuto a Vienna all'inizio del XX secolo, ovvero il rapporto tra i sessi.
Tra le visioni estreme di Chagall e di Munch, due uomini, si pone l’opera di Laura Grosso che, da artista e da donna figlia del nostro tempo, sentendosi direttamente chiamata in causa, dà la sua personale visione al femminile del ciclo vitale e del rapporto uomo/donna. E lo fa immergendo i protagonisti in un nuovo e più sereno giardino dell’Eden rappresentato dagli spazi verdi romani di Villa Adriana, Parco delle Valli, Villa Nemorense, Villa Ada e Villa Borghese che fanno da sfondo ideale allo svolgimento lento ed equilibrato del suo racconto pittorico. Evocando le feste galanti del ‘700, il Paradiso terrestre e la Coppia primordiale, l’artista auspica. una redenzione, un rinnovamento che portino al ritorno di quella luminosa innocenza originaria a cui in tanti aneliamo e di cui i rapporti avvertono sempre più il bisogno. Costruire un terreno comune, fatto di un linguaggio e di una cultura condivisi, nel rispetto delle reciproche differenze, come indicato da Luce Irigaray, una filosofa che Laura Grosso particolarmente ama, potrebbe essere la base su cui costruire, con amore vero, i rapporti riportando il mondo a quell’Eden perduto di cui si avverte tanto il bisogno.
“Tracce di amore - Laura Grosso”
2022
Gianluca Tedaldi
La tua pittura l'ho "assaggiata" nelle immagini che pubblichi su fb ma dal vero - ovviamente - la consapevolezza di ciò che si ammira è diversa.
Mi ha interessato il tuo "statement" circa la tua pittura che hai definito moderna in particolare riguardo alla scelta della forma piana e del colore timbrico. In effetti, era ciò che mi ha subito colpito, già dalla visione in formato elettronico. Si tratta di una scelta che varrebbe la pena di approfondire in conversazione.
Anche il tuo discorso sui fondi è qualcosa di sostanziale che va oltre la semplice soluzione espressiva e riguarda il linguaggio, altro tema importante.
Ho ammirato la leggerezza del tuo tocco - tuttavia esatto - e della fresca audacia di tante gestualità. Ho anche ammirato la forza dei mezzitoni, con quel cromatismo vivo, qualcosa che ho sempre collegato all'energia della giovinezza (di conseguenza, adesso, vado sui toni piuttosto bassi...).
Olio / acrilico: interessante anche questo confronto fra i medium, con pregi e limiti di ciascuna, che, però, tu mi sembra gestisci con grande sicurezza. Belle anche le individuazioni delle fisionomie e delle espressioni.
Mi sono domandato - al di la di quanto ci siamo detti circa la scelta di rappresentare "umani" in socievolezza - se questa tematica è anche aperta alla possibilità di toccare la dimensione psicologica del rapporto fra i personaggi, quella che in antico si chiamava degli "affetti". Vedo soluzioni formalmente approfondite ma non "storie", qualcosa che richiami la ribalta teatrale. Forse non è tuo scopo fare racconti che potrebbero scadere in aneddoti. Non so.
2022
Alfonso Goi
La pittura di Laura Grosso ha origini lontane, affonda le sue radici nella “Scuola romana”, formandosi come allieva di Alberto Ziveri. E proprio qui ha maturato e ha stabilito in se stessa quelle convinzioni riguardo al fare artistico che non ha mai abbandonato: la pittura ha un costante rapporto dialettico con la realtà e quindi è pittura di “figure”, di oggetti e di paesaggi.
A ben guardare tutto ruota attorno a quelle figure, gli umani, come spesso Laura Grosso titola alcuni quadri di bagnanti, umani sulla spiaggia, umani nell’acqua. Ma anche umani ad una festa danzante o ad un ritrovo elegante o popolare, oppure in gruppo, dando la sensazione di camminare insieme verso un futuro luminoso.
Sembra che Laura Grosso ci scruti, nei nostri atteggiamenti più comuni e in diversi contesti, non ricorre quasi mai a modelli o modelle in posa, ma ricorre a rapidi schizzi dal vero e a degli scatti fotografici o anche addirittura a foto interessanti trovate sui rotocalchi, cercando di fermare quella naturalezza con cui noi umani stiamo seduti o camminiamo o facciamo un gesto espressivo, eloquente, quando ci chiniamo verso un bambino, o appoggiamo un braccio ad un supporto come un muretto per riposarci. Vengono in mente certe “umanissime” posizioni, nel senso di molto naturali e vere, che assumono i personaggi di molti dipinti di Puvis de Chavannes, che però, pur abile osservatore, era costretto poi a ricreare queste pose in studio perdendone la naturalezza. Lo stesso Cézanne nei suoi Bagnanti fatica a ricreare in studio la bellezza dei tanti gesti che poteva osservare dal vivo. Si salva, per renderli naturali, immergendoli in multipli riflessi di colore e luce. Non a caso ho citato due grandi pittori di “figure”, di composizioni di figure, perché il tema é proprio la composizione e l’arte di comporre sta nel prodotto di uno sforzo riuscito di creare un equilibrio nello scandire gli spazi, di muovere e collocare sulla scena.
Cezanne per esempio, con l’intento di rinnovare con un senso di en plein air l’antica grande arte figurativa dai Greci a Giotto ai Veneti a Michelangelo a Poussin. Laura Grosso si inserisce proprio su questo solco avendone piena coscienza. Ma è anche persona del suo tempo per cui tecniche e contenuti ce la fanno sentire contemporanea.
In realtà i temi affrontati da Laura Grosso sono temi che hanno accompagnato l’umanità da sempre: l’aspirazione alla libertà collettiva si, ma anche e inscindibilmente personale. Quell’anelito deve prima di tutto nascere dal profondo di noi stessi per essere autentico, in modo che la coscienza di sé sia premessa di una coscienza collettiva.
Poi il tema della danza, a cui Matisse, pittore molto amato da Laura Grosso, ha dedicato alcuni capolavori. La danza come espressione dell’unione armonica tra uomo e donna. Simbolo dell’amore spirituale e fisico.
All’Amore è connesso il tema dell’Eden, che ha avuto eccelsi interpreti, basti pensare a Tintoretto e Tiziano.
E come l’Amore è un’urgenza primordiale, lo è anche la Pittura, in fondo il tema dei temi della nostra pittrice. Infatti questi temi si incarnano tutti nella Pittura, perché la Grosso non si serve della pittura per illustrarli, ma li fa vivere nella sostanza stessa di quest’arte alla quale non si accede senza una vera ispirazione.
E come l’Amore, la Pittura si cerca, si trova, ti sfugge, si ritrova, in un percorso complesso ed emozionante, inarrestabile e imprescindibile, tessuto di divine trame.
“Divine trame d’amore - Omaggio alla pittura non eloquente”.
2015
Giorgio Di Vita
“Ognuno di noi considera se stesso l’ultimo germoglio di una pianta gigantesca e misteriosa”, si apre così l’autobiografia di Laura Grosso e, leggendo questa frase, non si può non pensare che essa si riferisca, oltre che alla vita di ciascuno, anche alle sue opere. In senso lato, ma anche, nel caso di Laura Grosso, alla sua arte.
Le opere scelte per questa mostra sono delle marine con bagnanti, “umani” li chiama l’autrice. Figure pensose, eterne, persistenti ed evanescenti fatte “della stessa sostanza dei sogni”, direbbe Shakespeare; emergenti da quell’inconscio collettivo che guida le nostre azioni. La pittura di Laura Grosso evoca; e non solo esperienze vissute da ognuno in quanto“umano”, ma anche la pittura dei suoi maestri e quella di cui i suoi maestri si nutrirono; assimilata come linfa vitale attraverso le radici di quella pianta gigantesca e misteriosa di cui l’autrice stessa ci parla.
Come non pensare alle figure lontane di Silvestro Lega, Pellizza da Volpedo, Angelo Morbelli e di altri autori del nostro Ottocento? O alla Scuola Romana, che rinnovò e attualizzò il classicismo negli anni ‘30 del secolo scorso. Ma sbaglierebbe chi interpretasse quanto detto come un’accusa di passatismo rivolta alla nostra autrice. Niente di più errato: Laura Grosso si nutre del passato proprio come di sedimenti fertili depositati dalla storia su un terreno sopra il quale germogliare, aprire le fronde, saziarsi di luce, aria, colore. Il suo sguardo è proprio quello di cui parla Novalis quando dice che se “rivolto all’indietro porta in avanti”.
Nella pittura di Laura, infine, a riprova di quanto detto sopra, c’è anche la fotografia, lo sguardo dell’Iperrealismo che non sceglie il centro della composizione per porvi il soggetto principale. Lo sguardo non seleziona, l’artista non mette in posa il modello: tutto avviene davanti al suo sguardo, lasciando che tutto sia, che la vita sia, come sembrano dirci i suoi “umani” nudi, assorti, in attesa.”
"Umani"
2010
Daniela Vaccher
Ricominciare, si può, si deve. Per ricostruire bisogna ripartire da basi e valori che si sono smarriti strada facendo, silenziosamente quasi non ce ne fossimo accorti. L’Identità, la Verità, la Memoria Storica, la Dignità, questi penso siano i
quattro pilastri sui quali riedificare.
La nostra è una società che via via è diventata massa indistinta, acritica, possibile materia plasmabile da dita molto forti, massa che parla un’unica voce senza più parole. L’Identità come vari pezzi di realtà che vengono messi insieme.
in un amalgama alchemico. Le opere di Laura Grosso sono dei collages, composizioni di elementi fotografici, con un intervento pittorico dell’artista che crea così un soggetto nuovo nella ricerca di un’altra specificità. Quello di Laura
rispecchia lo sforzo di ciascuno di noi che grazie alla rielaborazione ed introiezione di immagini e ricordi ci permette di realizzare quell’unicum che ci distingue e che ci difende dallo smarrimento nel caos.
"Alla ricerca di Identità"
2009
Beatrice Talamo
Mi porta nella “stanza”. Quest’anno è già la seconda volta. Strano, per anni non ho avuto accesso. Ma è così. Puoi tirar dritto per secoli e
scorrere parallela all’altra senza che ci si accorga del suo suono, del suo odore, del suo colore. Poi qualcosa avviene. E un posto lasciato vuoto per dolore viene occupato da nuove immagini e nuove parole. Anche gli occhi guardano in modo
diverso e finalmente trasformano!
Strisciate decise di azzurri e di blu si compattano su rossi e gialli e verdi per ricreare un tavolo e il suo “sopra”. Ma cos’è in fondo un “sopra”?
E’ tutto quello che i tuoi occhi vedono, ingabbiato di colore, finalmente libero da leggi inutili e accessorie.
Il libro è aperto, non è un caso se ha pagine bianche. Non hai più bisogno di fingere lettere fasulle. Il vuoto può rimanere tale senza paura di fare paura. E’ il momento del silenzio necessario per ascoltare, poi, meglio tutti quei suoni nascosti fra le pagine dei libri accatastati, ingombranti, fra tubetti di colore e scatole di colla e qualche fiore solitario. Anzi solissimo. Ora non è, mi sembra,
momento di fiori, né di velature tradizionali su scorci di paesaggio.
Ora, mia cara, la geometria del tuo sguardo divide a spicchi la realtà, la semplifica e la investe di colore per macchie squadrate. E me la riconsegna così come l’ha vista, compatta, solo apparentemente semplificata.
I volumi e le ombre si riagganciano e a me, a me piace con tranquillità, innamorata del colore, mettermi seduta e … guardare.
L’unico atto, il più semplice, il più puro che abbia un senso.
Lettera a Laura
1998
Benito Recchilongo
La pittura di L.Grosso, già allieva di Ziveri, deriva dal tonalismo della scuola romana, e nella suggestione di Roma trova spesso il motivo ispiratore.
Ma è l’aria, il riverbero della luce, il caldo impasto che il tempo ha depositato sulle pietre, che la interessa, non la descrizione dei luoghi.
Perciò Grosso procede per larghe stesure del colore, limpido nei toni e sommario nella raffigurazione: perché la veduta ormai sopravvive in lei solo come sensazione interiore, e come tale viene restituita sulla tela.
"Vedute romane"
1982
Paolo Balmas
Chi è più sprovveduto, l’artista che si ripropone di trasmettere direttamente delle emozioni fornendole in sovraccarico attraverso immagini assolutamente leggibili, o il critico benevolmente disposto a qualsiasi forma di ritorno alla figurazione solo a patto, però, che dietro vi sia una buona dose di gratificazione intellettuale?
La risposta diviene più facile se facciamo notare che le immagini della Grosso sono quasi tutte riprese da foto di famiglia e riviste di attualità; assemblate in maniera tale da far sempre pensare ad un qualche racconto; regolate su di un tono che sta tra il melodramma, il romanzo ottocentesco e la poesia superintimista; dipinte magistralmente in piena luce impressionista o con smaliziatissimi effetti di illuminazione su fondo scuro
E per di più accompagnate alla loro prima sortita da brani musicali indiscutibilmente belli oltre che arcinoti.
Estratto dalla rivista Il Segno