En Plein Air
Alla base della pittura esiste la storia dell'immagine, Eikon (icona), che paradossalmente prende l'avvio proprio dalla sua negazione, cioè dal fenomeno iconoclastico, intorno al 700 d.C. , "guerra alle immagini" ingaggiata dalle tre culture aniconiche che confluirono nel primo cristianesimo: greci, musulmani e ebrei.
Fu lo spirito del cristianesimo a opporsi all'iconoclastia, richiamandosi al principio dell’incarnazione di Dio. In seguito a ciò l’immagine non è solo consentita ma incentivata in quanto soltanto attraverso il tipo (uomo) lo sguardo può accedere al prototipo (Figlio dell'uomo), così come attraverso il volto di Cristo accede a Dio, l’immagine rimanda alla Verità allo stesso modo in cui la creatura rimanda al Creatore. La prima icona, ritratto della Vergine Maria, si deve all'evangelista Luca.
La pittura, scrittura del fenomeno, intende mostrare la trascendenza - e diventa anche didascalia alla Sacra Scrittura.
All'immagine è strettamente collegato il concetto di luce, che in latino è doppio: Lumen o Lux.
Il lumen è luce interiore, esce dall’occhio illuminando il fenomeno, la lux è la luce esteriore che illumina il fenomeno.
Il lumen parte dall’uomo e proietta luce sul mondo, richiede alla persona una parte attiva; la lux parte dal mondo e proietta luce sull’uomo, che rimane passivo ad accoglierla e rifletterla.
Nella pittura antica, fino all’età medievale, l'occhio è un misterioso organo dell'anima, trans oculare, che irradia sul fenomeno, si fonde con esso e ne assorbe i colori. Questo processo da vita a un'immagine raggiante, il cui splendore proviene da una luce interiore, non esterna, in quanto tale non suscita alcuna ombra.
Nel Rinascimento il cono visivo si rovescia: la luce è esteriore, dall'esterno si proietta nell'occhio, l'organo attraverso il quale l’oggetto viene registrato, semplice strumento. Il fenomeno illuminato dall'esterno imprime la propria immagine sulla retina rendendo l’occhio protagonista assoluto, ma allo stesso tempo la persona smarrisce la propria luce interiore, e insieme ad essa la connaturalità col fenomeno stesso. La ricerca della luce che consiste nell’individuazione della fonte esterna trova la massima enfasi nel Barocco e prosegue senza notevoli cambiamenti fino al novecento.
Lo sguardo non è orientato verso l'ascesi, verso la trasfigurazione dell’oggetto tramite un contatto sostanziale e profondo, e la deviazione lo subordina alle diverse scoperte scientifiche: prospettiva, anatomia, microscopio, telescopio, fotografia.
Un occhio che ricerca il lumen è molto diverso da un occhio che cerca la lux: la pittura en plein air si colloca all'interno della prima ricerca, dall'ottocento dipingere en plein air significa saper dipingere , non è semplicemente fare pittura di paesaggio.
L’occhio che si esercita nell’osservazione del fenomeno viene iniziato alla comprensione effettiva degli elementi della pittura: linea, tono e colore e allo stesso tempo la mano, costretta a adattarsi ai veloci mutamenti della luce, acquista scioltezza e abilità.
Lo spirito romantico che inizialmente spinse a uscire fuori della città e della tecnologia contribuì alla fatica dell'inseguire il cambiamento della luce del sole, che in un primo tempo costituì il fine della pittura.
Tentando di cristallizzare l’immagine il tipo di sguardo non cambia, si tratta sempre del cono visivo che partendo dal fenomeno si riflette nell'occhio, così anche i quadri degli impressionisti, sebbene vaghi nelle forme con quelle tipiche pennellate guizzanti, veloci (allo scopo di catturare la luce di un attimo), rispondono al tipo di immagine del passato.
In pittura l’intento di fissare un momento unico dello scorrere delle stagioni è ancora dipendente dalla lux, si realizza bloccando la visione artificialmente, come in una fotografia, in quanto nel fenomeno la fonte di luce si sposta col divenire del tempo.
Sono le “Petite Sensations” di Cézanne che cambiano veramente la storia riportando al primitivo concetto di Lumen.
La luce del sole si muove creando luminosità, colori e forme sempre diversi, la pittura è chiamata, tramite il lavoro attivo dello sguardo, a restituire le esatte percezioni visive, ogni colore nella sua essenza steso esattamente al suo posto, per produrre un'immagine illuminata da dentro.
Tornare a dipingere en plein air ha senso solo se mirato a un rinnovamento che coinvolga le basi specifiche del dipingere, che consenta di identificare esattamente tali basi nelle relazioni fra le diverse linee, i diversi toni, i diversi colori, correlando questi elementi fra loro, riunendo quindi tutte le percezioni per confluire in un'immagine personale ma non arbitraria.
La pittura en plein air praticata in questo modo insegna a vedere, altre che a dipingere. Soprattutto insegna a capire esattamente cos'è che caratterizza la pittura.
Impone la necessità di un disegno non estetico ma funzionale alla pittura, semplice risultato delle linee che si manifestano nel corso del passaggio della luce.
E' un disegno che si fonda sulla composizione: partendo dalla esatta individuazione della porzione del vero. risulta dalle linee di confine fra pieni e vuoti e dai contrasti tonali, in cui nessuna parte predomina e in questo senso insegue il principio dell’armonia che governa la natura.
La percezione del colore è immediata, così come la ricerca della sua composizione materiale sulla tavolozza. Tutto questo non richiede un ragionamento ma una sensazione forte, alla quale nuoce una conoscenza a priori. Qualsiasi conoscenza richiede di essere passata al vaglio dall’esperienza personale.
In questo senso non esiste niente di più libero e liberante della pittura en plein air.